Le perfezioni

“Le perfezioni” di Vincenzo Latronico è una rivelazione e uno smascheramento puntuale del presente in cui viviamo immersi.
Una coppia solida, un nucleo praticamente inscindibile tanto che non conosceremo mai a fondo i sentimenti dell’uno o dell’altro componente, si è trasferita a Berlino per vivere la vita a cui crede di dover aderire: entrambi web-designer costruiscono nella città-fuga per antonomasia (lo era per lo meno nella prima parte degli anni duemila, quando rappresentava a tutto tondo un nodo culturale innovativo) la vita che hanno sempre sognato: vivono in un appartamento che sembra uscir fuori da una rivista di home decor, sono liberi professionisti che possono permettersi di dettare i propri tempi lavorativi, fanno parte di un esteso gruppo di amici impegnati e alla moda, stranieri come loro, creativi come loro, alla ricerca costante di nuovi stimoli e interessi.

Tom e Anna sono il risultato perfetto della società per immagini in cui viviamo. La dimensione social restituisce loro la concretezza di un desiderio possibile, scorrendo le immagini del feed nutrono la loro sensibilità e i loro scopi, ri-creano nel loro presente ciò che viene loro suggerito in una dimensione digitale eterna, costantemente in divenire, a-temporale. Il romanzo si apre con un lunghissimo piano sequenza in cui l’autore descrive minuziosamente l’appartamento in cui i due vivono: è un luogo delizioso, curato nei dettagli, aderente all’idea che si sono fatti di loro stessi. Se in passato, l’immaginazione era caricata di rado da pulsioni esterne, nell’attuale bolla social, le nostre immaginazioni sono fomentate e nutrite da immagini che scegliamo come identità-specchio. Aderiamo ai nostri desideri, replicando quelle immagini, in un gioco perverso e involontario di cui facciamo parte.

Latronico, durante la presentazione del suo libro al Centro Pecci di Prato, all’interno della rassegna Pecci Books Festival, ha riflettuto sulla mancanza dei social all’interno della letteratura attuale. I trentenni di oggi sono entrati nell’età adulta in un’epoca già permeata dai social, eppure i social non compaiono in letteratura, come se li si dovesse rimuovere per una sorta di pudore. All’interno del suo romanzo, Latronico invece li inserisce, creando una storia ancora più plausibile e non edulcorata, vera, reale.

Le perfezioni del titolo richiamano all’inganno intrinseco delle immagini che ci circondano: ad immagini perfette corrisponde un desiderio di perfezione mai appagato, perché semplicemente impossibile da ottenere. Nel romanzo, il giudizio è sospeso, non percepiamo mai la trita condanna ai social o la professione di un mondo antico epurato da tali chimere, avvertiamo invece quanto sia ormai intrinseco il rapporto tra il nostro vivere e il nostro corrispettivo digitale. Chi vuole fuggire all’analisi, tentando di mettersi in una posizione di superiorità per la condivisione parca e il centellinamento delle interazioni, non può fuggire al fatto naturale che ognuno è inserito in questo meccanismo anche da semplice fruitore passivo.

Devo ammettere che ho pensato che un libro così potesse scriverlo solo un trentenne-quarantenne, perché se pare una restrizione additarlo come romanzo generazionale, lo sguardo è sicuramente quello di una generazione ben precisa, che ha insicurezze comuni e desideri altrettanto accomunati: il lavoro fluido, il tempo che si dilata e inghiotte le zone sacre di respiro, l’identità politica senza filo, la voglia di ribellione soffocata, la necessità di orizzonti alternativi, la fatica nell’interrogare se stessi, l’impossibilità di farne a meno in quanto tutto richiede uno sforzo maggiore, un coinvolgimento più attento, “temevano di essere contenti perché si erano accontentati”.

Altro aspetto straordinario del libro è che gli elementi che di norma fanno parte dello sfondo, si carichino qui di dignità di narrazione, divenendone i protagonisti: l’aspetto dei luoghi che vivono i personaggi, la toponomastica di Berlino, gli edifici simbolo, i ristoranti o i quartieri di spicco, il modo in cui Anna e Tom fanno sesso, il modo in cui si muovono nelle stanze, gli oggetti, soprattutto gli oggetti, cose piccole che identificano i protagonisti. Ed è qui che si fa riferimento a Georges Perec e il suo romanzo “Le cose”: le lista di oggetti che determinano chi siamo o chi vorremmo essere, il consumismo che ci plasma e riscrive.

Lo stile di Latronico poi è cristallino, pulito. La scrittura come veicolo alla storia e non il contrario.

“Saranno tentati dalla possibilità di cercare altrove ciò che avevano trovato a Berlino anni prima, e che tanto inutilmente avevano inseguito quell’inverno. Ma sarà impossibile: perché quell’abbondanza risultava da un’intersezione specifica tra la storia della città e quella della loro vita. Con uno spaesamento profondo si renderanno conto di non riuscire a districare l’una dall’altra: e quello, quell’impossibilità di accedere a una versione oggettiva del passato, facendo la tara alla nostalgia, sarà l’esperienza della nostalgia.
Quanto a lungo potranno andare avanti così? In teoria per sempre.”

Un libro che nella sua brevità, si tratta di 136 pagine, è un distillato di realtà, un romanzo che poteva essere scritto solo da una persona acuta e brillante, capace di osservare il nostro tempo e di restituircelo così dettagliato.

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